Il tempo dei desideri
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Intensa e continua la scrittura di Mari, alimentata centralmente da un tono leggero, apparentemente veloce, capace quindi di esplorare ambiti diversi, figurazioni sorprendenti. Tra i caratteri originali si segnalano certi finali e brevi intermezzi indimenticabili; eccone un campionario. Pag. 21 “Non sa dove posarsi/neutra carta/del sobbalzo ideale.” Pag. 18 “Dove, dove, va/ dove, dove sta/scritto? Dove? Dove?”. Pag. 31 “Era come contare a caso/dentro dentro a lungo/il più possibile”. Pag. 34 “Riprovavo il passato/sparso come gli indumenti/alle sue caviglie/salivano strisciando le mani/il suo grembo m’osservava/tra i capelli contrari.” Emergono in questo contesto diverse figure femminili apparentemente semplici e spontanee, situazioni visive accomunate da un sottofondo erotico. Suddivise in due parti e altrettante poesie.
“Il tempo dei desideri” (anche il titolo generale) è tra le poesie più belle: l’unità senza vuoti consente una modifica insolita (la concentrazione dei versi annulla vantaggi e svantaggi del procedimento tramite spazi interni, tra più versi). Un poemetto che sta come un cuore proprio, che batta più in profondità – Sta maturando verso una parte? O forse certe differenze anche metriche, espone una poesia che appare sempre sé – così restituendo un respiro più ampio. L’assenza di trovate (ad esempio a pag. 54 “Bimba figurina….”). Pure “La guerra perbene”, ultima delle poesie, concentra autorevolmente la prima parte. La seconda e ultima parte del libro, “Prose poetiche” raddensa cognizioni non molto diverse, non solo a sé. Numerose le tentazioni di riprendere – con frasi – l’andamento continuativo… Al di là di ciò, i due principali testi a confronto: “Fuoristrada” e “Il castello di carte” si dispiegano in caratteristiche nettamente distinte. La prima immersa in una atmosfera intrisa di suspense e mistero in cui l’autore sperimenta diversi piani di lettura e riferimenti sparsi all’interno, dove non si sente la mancanza di soggetto con l’io diviso ed esteso che riaffiora parzialmente nei vari spunti descrittivi. La seconda rincorre il linguaggio poetico fino a fondersi nel finale con la prosa. Echi fiabeschi e surreali s’intrecciano e vanno oltre il pretesto, la personalizzazione delle carte da gio-co.“Mezzo amore” nel titolo beffardo si chiudono infinite possibilità, ma sembra che “non ci sia niente da fare” oltre a evocare lo spirito dell’amore come ancora di salvezza. Originale – e coerente – il finale. “Che cos’altro non fa la vita?” “Che cosa non fa di noi?” Giancarlo Majorino |
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Prima di essere pubblicato, dovrà essere approvato dalla redazione.
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