Veglia d'autunno
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Informazioni importantiLa produzione poetica di Silvio Raffo, attiva ormai da vari decenni, si è sempre segnalata per la straordinaria grazia che porta i suoi versi a una purezza e a un'essenzialità greche (caso veramente unico ai nostri tempi così poco amanti dell'armonia e inclini a un'arida farraginosa cerebralità); si tratta di una grazia assistita da un superiore senso d'ironia e di gioco, verrebbe da dire gozzaniano, che eleva alla sublimità la perfezione della parola e del verso senza un'ombra di retorico compiacimento, ma con naturale sprezzatura. Con dolcezza mai stucchevole e divina malinconia Raffo passa in rassegna le vicissitudini del cuore e del tempo, gli inganni della passione e l'eco della morte (costante presenza in quest'ultima raccolta), gli incanti dei luoghi e delle stagioni, il privilegio spesso doloroso ma più spesso luminoso (o per usare un aggettivo a lui caro "numinoso") del poeta-fingitore. La grandezza di questa poesia, lirica e insieme filosofica nel più alto senso del termine, è testimoniata dalle cime abissali dei concetti, dalla persuasiva fluidità di narrazioni e riflessioni che assurgono a livelli oracolari nella luce pura dei metri e delle rime. Già in "Maternale" e nel successivo "Al fantastico abisso" si sono apprezzati il superlativo rigore metrico e la "lunga fedeltà" all'endecasillabo, che riveste di cristallino nitore, trasumanandole, le esperienze di vita, di affetti e d'intatta memoria; ma in "Veglia d'autunno" , compatta e struggente sinfonia scandita da un passo d'addio sapientemente simulato, Silvio Raffo ha raggiunto la più alta verità di parola e di storia umana Giorgio Barberi Squarotti |
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